Cinque anni fa, nel giorno di San Valentino, negli Stati Uniti debuttava Vinyl (in Italia sarebbe arrivata la settimana dopo). La fastosa serie storica ambientata a New York negli anni ’70 e prodotta da due che quel decennio l’hanno vissuto da protagonisti, ovvero Mick Jagger e Martin Scorsese, fa parte di un folto gruppo di produzioni realizzate diversi anni dopo il periodo in cui sono ambientate. Un periodo, tuttavia, non abbastanza remoto da perdersi nei meandri della Storia. Sono le cosiddette serie “effetto nostalgia”, dedicate a epoche che parte del pubblico ha vissuto in prima persona e di cui ha collezionato ricordi dell’infanzia o dell’adolescenza.
Oggi più che mai le storie e i personaggi rivolti a un passato recente, che ci appariva più vivace, gioioso, sereno e vitale, ci aiutano a sopportare un presente di cui si fatica a intuire la direzione e che appare confuso e senza un’identità definita. Ecco, dunque, il motivo del successo delle serie nostalgiche come Vinyl, ed ecco alcuni degli show migliori che insistono su questo sentimento.
Due protagonisti realmente vissuti – il ginecologo e ricercatore William Masters e la partner e collega Virginia Johnson – per una storia che si snoda dalla metà degli anni ’50 fino al termine dei ’60 offrendo una suggestiva, lucida e critica ricostruzione di un periodo iconograficamente spettacolare ma anche segnato dai conflitti sociali, dal razzismo e da una visione della donna che la relegava al ruolo di perfetta e ubbidiente mogliettina. Rafforzano l’effetto nostalgia di*** *Masters …l’estetica e le scenografie mirabili. È ambientato nello stesso decennio anche il grande classico da tempo iscritto nella cultura popolarculturale Happy Days: l’idilliaca famigliola di provincia dei Cunningham e l’irresistibile centauro Fonzie (“Ehi!”) rappresentano la facciata di un’epoca in cui ancora si credeva ciecamente nel sogno americano.
Vero e proprio cult ambientato nel mondo della pubblicità, Mad Men è probabilmente la serie nostalgia che più di tutte è riuscita a offrire un’aspra critica della società del tempo senza che questa intaccasse l’allure di un’epoca da sogno. Gli abitini color pastello corredati da cinture e borse in pendant indossati dai personaggi femminili offrivano un’immagine della perfetta casalinga casta e arrendevole che nascondeva insofferenza e desiderio di emancipazione sessuale e non solo. I completi impeccabili dei mariti, spesso sfoggiati mentre guidavano ingombranti e bellissime Cadillac, ne restituivano un’immagine ferma e virile dietro la quale serpeggiavano insicurezza e inadeguatezza. Gli anni ’60 coincidono con gli ultimi strascichi di una cultura, quella occidentale e in particolare americana, prossima a frantumare il solido strapotere del maschio bianco e cristiano, vacillando a favore di… tutti gli altri. Altre serie per estimatori degli anni ’60? Pan Am, Aquarius e 22.11.63.
Vinyl, Narcos, The Get Down, Life on Mars, The Deuce: queste serie ambientate negli anni ’70 hanno in comune la frenesia psichedelica della** ribellione**, che molti hanno vissuto in prima persona, tra manifestazioni e repressione, tra trasgressione e anelito di libertà, e poi sesso, droga e rock’n’roll. Mick Jagger, figura-simbolo di un decennio di importanza epocale a livello sociale e artistico, sceglie New York in fermento per mettere in scena gli eccessi, l’audacia, la voglia di vivere e al contempo la tendenza all’autodistruzione di chi ha vissuto al massimo (troppo?). Il produttore musicale incarnato dal sempre bravissimo Bobby Cannavale (Boardwalk Empire), che lotta per rimanere a galla in un settore fagocitato dalle nuove correnti musicali e da un ricambio frenetico di generi e stili, evoca la nostalgia tangibile di un periodo in cui l’ambizione e l’eccellenza andavano ancora di pari passo con il talento (e un senso della moda tutt’oggi acclamato da alcuni e disdegnato da altri).
Forse, il periodo più quotato dagli autori in cerca dell’effetto nostalgia, gli anni ’80 sono i protagonisti – e non solo lo sfondo – di una miriade di serie abbastanza recenti, da Ashes to Ashes (lo spin-off della britannica Life on Mars) a*** ***Stranger Things, da Glow ad Americans, da I Goldberg a Tutti odiano Chris. Il motivo di questa spiccata preferenza è semplice: la maggior parte degli sceneggiatori attivi ora sono stati bambini o adolescenti nel decennio delle spalline imbottite e delle nuvole di lacca che hanno aperto il buco nell’ozono. Tra tutte queste produzioni, quella che si erge sopra le altre in termini di effetto nostalgia è probabilmente la britannica Ashes to Ashes: ambienta a Londra, porta lo spettatore nel cuore della musica pop – i club – tra vestiti fluo, giacche imbottite, frangette iperboliche, permanenti cotonate e l’inconfondibile aura patinata dell’ultima epoca “glamour” prima del lento declino culturale e identitario che affligge la contemporaneità.
Gli anni della sitcom Fresh Off the Boat sono gli stessi della seconda stagione di Pose (seconda stagione) e de L’assassinio di Gianni Versace. È l’epoca dell’avvento della paura: dell’instabilità economica e sociale, della fragilità delle relazioni, del contatto profondo, dell’Aids. Gli eccessi si rivelano fatali. Nel panorama seriale, simpatiche sitcom alla Fresh Off the Boat, appunto, convivono con crime in costume come quello che ricostruisce il delitto Versace. La prima è incentrata sugli Huang: eredi delle famigliole modello come quella di Casa Keaton, sono più sfuggenti e fallaci dei predecessori, e soprattutto, non sono bianchi bensì discendenti di immigrati taiwanesi. L’assassinio di Gianni Versace scava, invece, nel dietro le quinte delle esistenze più invidiate del jet set infrangendone l’immagine. L’effetto nostalgia è sempre lì, ma non è più spensierato come una volta.